Gin Day 2015

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Gin Day 2015

Il Gin Day a Milano organizzato da bartender.it , è giunto alla sua terza edizione. Tre anni non sono nulla ma in questo periodo di veloci cambiamenti nel mondo del beverage è un periodo molto lungo. Se nella prima edizione l’esposizione era poco più che un incontro tra amici, nell’edizione del 2015 la massiccia presenza di barman provenienti da ogni parte dello stivale è forse una delle poche note negative della manifestazione. Fossero questi i problemi…

Ad ogni modo il Gin sta vivendo una vera e propria Golden Era e l’interesse nel confronti di questo “spirit” è molto alto. Molte le nuove presenze italiane alla manifestazione. C’è da rilevare però che probabilmente siamo arrivati anche ad una sorta di punto di saturazione del mercato e gli argomenti proposti dai produttori o commercianti di Gin sono sempre i soliti con qualche piccola variante. C’è chi ostenta l’uso del botanico più raro del mondo fino a chi pensa che la filtrazione sia l’elemento di distinzione. Ad ogni modo il panorama del mondo Gin è molto variegato. Forse diversamente dagli anni scorsi , tra tutti c’è la tendenza a proporre un Gin da degustare liscio anche a fine pasto piuttosto di suggerirlo in miscelazione. Personalmente rimango legato ancora ad un gin secco fatto di pochi botanici, diretto senza troppi sfronzoli o verdure varie nel bicchiere. Ecco una lista dei Gin degustati non una classifica quanto piuttosto qualche nota di degustazione presa curiosando al Gin Day 2015.

Ungava Canadian Premium Gin di origine canadese con 5 botanici della tundra canadese tra cui il ginepro selvatico. Gin dal colore giallo brillante conferito, ci dicono, dalla rosa canina. Secco e fresco con note agrumate pulito molto equilibrato da consumarsi freddo senza diluizione.

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Portobello Road London Dry Gin inglese classico . Licenza n.171 quindi un Gin storico inglese ottenuto da 8 botanici. Pulito ed essenziale all’olfatto si presenta fresco ed elegante al palato non ha sbavature, delicato con un lieve tratto di grassezza che ne facilita la beva. Adatto ad una miscelazione d’autore.

Non può mancare nella rastrelliera di un barman.

Portobello Road

Imea Gineprina Olanda Gin: E’ un Gin Italiano prodotto secondo un’antica ricetta del 1897 riesumata dall’azienda Quaglia. Un gin molto ben prodotto con note di cannella e dal sapore antico ma molto delicato nell’espressione. Base ideale per aperitivi futuristi .

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Roby Marton Tonka Gin: E’ la novità di quest’anno per il produttore di Gin veneto. Un Gin che si propone come gin da meditazione complesso e lievemente avvolgente al palato una visione diversa del gin che però sembra sia il denominatore comune per le aziende presenti alla fiera. La fava tonka è il nocciolo del frutto prodotto da un albero diffuso nei Caraibi e in Sud America.

Il suo profumo, molto particolare, vanigliato e di mandorla, ha fatto della fava tonka un ingrediente molto pregiato nel mondo dei profumi e dei cosmetici. In passato, veniva anche utilizzata per aromatizzare il tabacco.

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Ferdinand’s Saar Dry Gin questo è di origine tedesca, viene dalla Saar terra di riesling e mi è simpatico fin da subito. Il produttore produce anche vino ma è appassionato di Gin. Nella foresta nera il Gin ha una sua tradizione, vedi Monkey 47. Un gin fresco e pulito delicato con lievi note floreali e sentori di agrumi . Da usare con una tonica semplice non troppo invasiva per rispettare la delicatezza del prodotto.

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Fred Jerbis Gin 43 Gin italiano nuova proposta per il Gin Day di Federico Cremasco il Gin Ecologo friulano che coltiva parte dei botanici nella sua terra e produce questo gin davvero raffinato tutto made in italy. Bottiglia e packaging molto ben studiati graficamente. Il gin conta ben 43 botaniche, tutte di provenienza italiana; le arance e gli agrumi siciliani, il ginepro è certificato dall’Umbria, il finocchio rosso, il timo, la lavanda, l’assenzio romano, la lavanda sclarea, la santoreggia di produzione propria. Si tratta di un distillato-compound, con la distillazione di alcune botaniche e la macerazione naturale di alcune piante alcune fresche, altre secche.

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The Greedy Gin Prodotto in Inghilterra da produttori italiani. E’ un gin elegante fatto con cura e attenzione per le materie prime. Composto da vari botanici con note fresche agrumate e balsamiche e ovviamente il ginepro. E’ secco sul finale tendenzialmente amarotico un buon gin da miscelazione nella linea premium.

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Gin Giniu il Gin Sardo ancora Italia quindi, tra i botanici il … no il Mirto in questo caso non c’entra troppo facile, il Giniu è un gin che ho apprezzato molto a base di cinque varietà di Ginepro selvatico della costa sarda . All’olfatto si presenta subito di carattere ma la sorpresa arriva in bocca con un Gin dotato di una certa morbidezza non eccessiva sensazioni quasi iodate e sapide che porta il palato a terminare su note di erbe officinali dai toni balsamici di eucalipto e iodati nel contempo che a ben pensare ricordano proprio la macchia mediterranea. Per me è un si.

Sipsmith London Dry Gin Mi ha convinto molto, lo conosco da tempo ma le conferme sono sempre una bella cosa. Naso elegante e al palato una sensazione molto ben definita e decisa. Un gin classico nella forma dal naso molto elegante al palato emergono ben incise note di buccia di limone, e ginepro che non vengono poi tradite al palato che si sviluppa lentamente evidenziando dapprima la parte fresca e poi quella speziata.

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Death Door. Gin americano prodotto a Washington Island nel Wisconsin un area, ci dice l’export Manager dell’azienda, dove la neve si misura in piedi non in centimetri, un posto dimenticato da tutti dove il fondatore dell’azienda ha voluto consegnare al territorio qualcosa di interessante di cui occuparsi. Gin prodotto solo con tre botanici (god bless you), bacche di ginepro selvatico, coriandolo e semi di finocchietto, tutti del territorio e con una base alcolica ottenuta da cereali coltivati in biologico. E’ un gin asciutto diretto ideale per un gin tonic di alto livello con un’acqua tonica semplice e non invasiva.

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Bronx dry

Approfondimento curato da: “Symposium on Mixing”, simposio permanente di storia della miscelazione, con sede presso il Palazzo delle Misture di Bassano del Grappa dove è possibile richiedere la riproposizione di questi ed altri miscelati storici.

Niccolò Machiavelli, durante il suo esilio all’Albergaccio, in seguito all’allontanamento da Firenze perché sospettato di essere coinvolto nella congiura anti-medicea, scambiò un lungo carteggio con il suo amico Francesco Vettori, del quale sotto riportiamo un estratto della famosa lettera del 10 Dicembre 1513. Nella stessa lo scrittore fiorentino racconta il volgere della giornata in questa nuova obbligata condizione, così diversa da quella che abitualmente trascorreva nella città di Firenze in qualità di politico e letterato. Il testo palesa il contrasto tra le umili attività campagnole che svolge di giorno e le auliche letture dei testi antichi a cui si dedica la sera, una volta rientrato nella sua dimora, immaginando di intrattenere conversazioni con gli autori classici. Calandosi nei gloriosi tempi antichi le rivolge delle domande trovando risposta nei loro scritti.

Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.”

Anche noi, quando viene sera (o meglio notte), ci spogliamo delle nostre vesti madide di rum, liquori appiccicosi e sciroppi autoprodotti. Ci vestiamo di abiti nobili per entrare negli antichi hotel degli antichi uomini bar, dove, da loro ricevuti amorevolmente ci nutriamo lo spirito di quel cibo che è solo nostro e per cui siamo nati. Qui parliamo con i classici della miscelazione e non ci vergogniamo di  chiedere loro come hanno avuto origine le misture che giornalmente prepariamo.

Con questo spirito prendiamo in esame la genesi del Bronx Cocktail, di cui molti rivendicano la creazione. Cominciamo a farci illuminare da Albert Stevens Crockett, storico dell’Old Waldorf-Astoria hotel, luogo in cui sembra essere nato questo famoso drink. Infatti nel suo libro The Old Waldorf-Astoria Bar Book (reprint 1935) rivela che il suo ideatore sia stato Johnnie Solon (o Solan), uno dei migliori mixologist tra quelli che si sono susseguiti dietro il bancone dell’hotel. Ascoltiamo cos’ha da raccontarci Johnnie a tal proposito.

All’epoca preparavamo un cocktail piuttosto richiesto chiamato Duplex. Un giorno, mentre ne servivo uno ad un cliente entrò Traverson, maître dell’Empire Room, la principale sala ristorante della vecchia struttura Waldorf. Il Duplex si componeva di parti uguali di Vermouth Francese e Italiano, shakerati con un twist di buccia d’arancia o due spruzzate di Orange Bitter. Traverson disse: ‘Perché non crei un nuovo cocktail? Un mio cliente sostiene che non ne sei capace’.

‘Non ne sono capace?’ risposi. Bene, finito il Duplex che stavo preparando mi passò per la testa qualcosa. Ho versato in un mixing glass l’equivalente di due jigger di Gordon Gin e uno di  succo d’arancia, in modo che risultassero un terzo di succo d’arancia e due terzi di Gin. Quindi ho aggiunto una spruzzata di Vermouth Italiano e una di Vermouth Francese, e infine shakerato il tutto. Non l’ho assaggiato, l’ho versato direttamente in un bicchiere da cocktail e servito a Traverson aggiungendo: ‘Sei un buon giudice. (Lo era.) Dimmi cosa ne pensi.’ Traverson inizialmente lo assaggiò e poi lo bevette d’un fiato.

‘Per Dio!’ disse ‘Hai veramente inventato qualcosa di nuovo! Farà sicuramente successo. Preparamene un altro per quel cliente nella sala da pranzo. Scommetto che ne venderai moltissimi. Hai già una buona scorta di arance? Se non ce l’hai faresti bene a procurartela, perché prevedo di vendere parecchi di questi cocktail durante il pranzo.’

La richiesta di Bronx cocktail cominciò da quel giorno. Ben presto abbiamo iniziato a utilizzare quotidianamente una cassa piena di arance e in seguito molte di più.

Il nome? Non l’ha preso dagli omonimi quartiere e fiume. Sono stato al Bronx Zoo un paio di giorni prima e ho visto strane bestie che non conoscevo. I clienti erano soliti parlarmi degli strani animali che vedevano dopo un certo numero di cocktail; quindi quando Traverson mi ha chiesto, mentre portava il drink al suo cliente, ‘Come devo chiamare questo drink?’ ho pensato a quegli animali e risposi: ‘Gli puoi dire che è un “Bronx”.”

Interroghiamo ora un altro classico, ovvero Magnus Bredenbek, che nel suo What Shall We Drink?: Popular drinks, recipies and toasts (1934) ci dice: “Il Bronx cocktail, strano a dire, è stato inventato a Philadelphia! E ne saremmo rimasti all’oscuro se non fosse che Joseph Sormani, un ristoratore del Bronx, ha scoperto questo drink nel 1905 nella città dei Quaccheri. Questa è la ricetta originale che è stata notevolmente cambiata nel corso degli anni: quattro parti di gin, una parte di succo d’arancia ed una parte di vermouth italiano. Agitare.” Un’altra curiosa testimonianza indica Sormani come il creatore del Bronx cocktail. Si tratta del necrologio che annuncia la sua morte nel New York Times del 17 Agosto 1943: “Joseph S. Sormani, il pensionato ristoratore del Bronx, il quale si dice aver dato origine al Bronx cocktail, è morto mercoledì sera nella sua casa, 2322 Fish Avenue, Bronx, dopo una breve malattia. Aveva l’età di 83 anni.”

Trasportati dalla macchina del futuro incontriamo il contemporaneo storico della miscelazione David Wondrich che nel suo “Imbibe”, oltre alla suddetta versione di Crockett, ci presenta altre tesi. Una di queste si rifà alla notizia che il New York Times rese pubblica nel 1921 riguardo la chiusura di uno dei caffè di Peter Sellers in Brook Avenue nel Bronx, specificando che “si diceva fosse il luogo dove fu creato il Bronx Cocktail” e che il Criterion Restaurant di Billy Gibson, un altro bar del Bronx, “si vantava di questo”.

Wondrich continua a raccontarci che il Bronx Cocktail esisteva già nel 1904 quando la Police Gazzette lo incluse in una lista di nuovi Cocktail; o addirittura anche quattro o cinque anni prima, vista la sua apparizione in un menù della collezione della New York Historical Society del 1900 circa.

Come per tutti i nuovi drink, il raggiungimento della popolarità non è stato immediato. La sua svolta fu nel 1907 quando improvvisamente si trovava ovunque. Ma ciò non significava che tutti ne fossero soddisfatti. La critica più comune è riassunta in questa frase dell’opera teatrale Papa: An Immorality in Three Acts di Zoe Atkins nel 1913: “Ha un aspetto debole quanto un Bronx Cocktail”.

Alla fine del nostro viaggio durato più di un secolo, tra i quartieri di New York, vi elenchiamo due ricette del Bronx Cocktail pubblicate nel libro del Waldorf-Astoria e una curiosa variante inserita nel testo Recipes for Mixed Drinks di Hugo Ensslin, capo barman del Wallick Hotel di Times Square.

BRONX (Original)

1/3 succo d’arancia

2/3 gin

1 spruzzata di Vermouth Francese

1 spruzzata di Vermouth Italiano

Fonte: Steven Crockett, “The Old Waldorf-Astoria Bar Book” (ristampa del 1935)

 

BRONX (WALDORF)

2/3 gin

1/3 succo d’arancia

2 fette d’ananas fresco nel bicchiere

Fonte: Steven Crockett, “The Old Waldorf-Astoria Bar Book” (ristampa del 1935)

 

BRONX (DRY)

3 fette d’arancia

1 fetta d’ananas

½ Dry Gin

½ Vermouth Francese

Introdurre la frutta nel mixing glass, pestare bene, aggiungere ghiaccio tritato, gin e vermouth, shakerare bene, filtrare nel bicchiere da cocktail e servire.

Fonte: Hugo Ensslin, “Recipes for Mixed Drinks” 1917

Gianluca Camazzola

Marta Cherubin

Tamara Fantinato

Alberto Franciosi

Le origini del Manhattan cocktail

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a cura del:  “Symposium on Mixing”

simposio permanente di storia della miscelazione

con sede presso il Palazzo delle Misture di Bassano del Grappa (VI)

Manhattan 1887

l Manhattan Cocktail come anche il Martini cocktail possono essere considerati un’evoluzione dei vari Whiskey e Gin Cocktail ai quali qualche illuminato barman provò ad aggiungerci il vermouth, una volta che questo si diffuse fino a comparire regolarmente sulle bottigliere dei bar. A tal proposito l’autore dell’anonimo “Cocktails: How to Make Them” (1898) scriveva: “L’aggiunta di vermouth è stato il primo passo verso la miscelazione dei cocktail”. Lo storico della miscelazione David Wondrich nel suo testo “Imbibe”, fonte della nostra ricerca, scrive che il Manhattan Cocktail ha in New York la sua culla d’origine sostenendo che su questo sono quasi tutti d’accordo. Una storia, ripetuta a livello universale sulle origini di questa mistura, racconta che sia stata inventata in occasione di un banchetto organizzato da Jennie Jerome, la madre di Winston Churchill, al Manhattan Club di New York per celebrare l’elezione a governatore di Samuel J. Tilden. Questa teoria, una delle più diffuse fra i miti dei drink, potrebbe reggere, eccetto per il fatto che la sopracitata festa coincida con il parto di Lady Winston e il battesimo del piccolo Winston in Oxfordshire. L’autore di “Imbibe” riporta inoltre una testimonianza di William F. Mulhall, capobarman dell’ Hoffman House dal 1882 fino alla sua chiusura nel 1915, che di seguito citiamo: “Il Manhattan Cocktail è stato inventato da un uomo chiamato Black che gestiva un locale al di sotto di Houston Street a Broadway negli anni Sessanta”. A supportare questa tesi ci vengono in aiuto i registri del comune di New York degli anni Sessanta del 1800 che confermano la gestione di un locale da parte di un certo William Black sulla Bowery, anche se al di sopra della Houston, non sotto. D’altro canto, anche il Manhattan Club rivendica la paternità del drink con altrettante prove a suo favore. Un bartender del Boston, intervistato nel 1889, affermava che “Il cocktail Manhattan è stato ideato da un barman del Manhattan Club a New York”, questo 33 anni prima che le memorie di Mulhall venissero pubblicate. Questa dichiarazione trova corrispondenza nelle pagine del New York Times nel 1902 quando Bobbie”, nella colonna “With the Clubmen”, riportava di getto come una nota effimera che “La Leggenda” aleggia intorno “al Manhattan Club… il primo a dar origine al Manhattan Cocktail”. Prendiamo inoltre in considerazione parte di un articolo pubblicato dal Galveston Daily News: “Il New York Club ha un cocktail peculiare che si compone del miglior brandy e di diversi tipi di bitter, lo si vuole sempre shakerato con ghiaccio, non mescolato. L’Amaranth Club ha un cocktail fatto con il seltz e il Manhattan Club ne ha inventato un altro”. L’articolo è stato pubblicato nel Settembre del 1873, non c’è nessuna garanzia che questa invenzione del Manhattan Club sia il drink che tutti noi conosciamo e amiamo, ma non c’è nemmeno modo per affermare il contrario. Se così fosse sarebbe straordinariamente presto per un cocktail miscelato con il vermouth, ci sarebbe voluto infatti quasi un decennio prima che questa pratica diventasse abituale.Sempre David Wondrich ci racconta che per la metà degli anni Ottanta del 1800 il Manhattan era già conosciuto. Infatti il 5 settembre del 1882 il drink compare per la prima volta sulla stampa nelle pagine dell’ “Olean (NY) Democrat”: “Non è da molto che una mistura di whiskey, vermouth e bitter è in voga”, annota la “New York Letter” del giornale, È passato attraverso vari nomi – il cocktail Manhattan, il cocktail Turf Club e il cocktail Jockey Club. Inizialmente i barman erano perplessi per le richieste che gli venivano rivolte, ma ora sono pienamente coscienti dei diversi modi con cui veniva chiamato e non incontrano alcuna difficoltà”. Dopo poco tempo il Manhattan cocktail comincia a fare la sua comparsa anche su testi e ricettari di bartending che di seguito riporteremo per il valore storico/documentale che continuano ad avere per i professionisti del settore e per gli appassionati.Come potete constatare la “Manhattanologia” è una materia abbastanza complessa ed in continua evoluzione con probabili nuove teorie che andranno a spostare i confini delle sue fonti. Tuttavia, prima di concludere, ci sembrava doveroso riportare una curiosità riguardo le tipologie di whiskey utilizzati in questo drink. A seguito di una consultazione, da parte di David Wondrich, risulta che su venti ricette del periodo preproibizionistico solo quattro specificavano quale tipo di whiskey doveva essere usato, e due di queste prevedevano il bourbon. Nel nord-est quel “whiskey” sarebbe generalmente inteso come rye, ma non sempre.

Di seguito elenchiamo tre differenti ricette del Manhattan pubblicate

in alcuni autorevoli testi di mixologia di fine Ottocento.

Manhattan

Formula # 1 (Old standard)

Usare un “large bar-glass”

due o tre dashes di Peruvian bitters

1/2 tsp di sciroppo di zucchero o gum syrup

4,5 cl di whiskey

4,5 cl di vermouth

riempire tre quarti di bicchiere con ghiaccio, mescolare con un cucchiaio, filtrare in un

“fancy cocktail glass” e servire.

Fonte: How to mix drinks – Bar keeper’s handbook, 1884.

“New York’s G. Winter Brewing Co.

Formula # 2 (Reverse)

Usare a “small bar-glass)

1 tsp di orange curaçao o maraschino

3 cl. di rye whiskey

6 cl. di vermouth

3 dashes di boker’s bitter

Shakerare bene e filtrare in un “claret glass”. Mettere un quarto di fetta di limone nel

bicchiere e servire. Se il cliente gradisce un drink più dolce aggiungere anche 1 tsp di gum

syrup.

Fonte: Jerry Thomas’s bar-tender guide, 1887.

Formula # 3 (New standard)

Mezzo tumbler riempito di ghiaccio tritato

1/2 tsp di gum syrup

2 dashes di angostura

1 dash di assenzio

6 cl di whiskey

3 cl di vermouth

1/4 tsp di maraschino può essere aggiunto

Mescolare bene, filtrare e servire.

Fonte: William “The only William” Schmidt, The flowing bowl, 1892.

Approfondimento curato da: “Symposium on Mixing” simposio permanente di

storia della miscelazione con sede presso il Palazzo delle Misture dove è possibile richiedere la riproposizione di questi ed altri miscelati storici.

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