Mi mancano da morire le chiacchiere da bar

di Walter Cogotti, Oste a “Il Chiosco” in Padova

Il mio lavoro mi ha portato a sentirne di tutti i colori. Quella pedana dietro il banco che ti rialza di qualche centimetro rispetto ai clienti spesso ti consegna anche il superpotere dell’ invisibilità e il cliente chiacchiera con gli altri avventori come se tu, oste da un quintale di peso, non esistessi. Non rivelerò mai le cose private che ho sentito raccontare o che mi sono state raccontate direttamente, mi sento come un prete laico dietro la grata di un confessionale, mi porterò nella tomba i vostri segreti non preoccupatevi.

A volte però, per fortuna, i racconti non sono così privati e il dono dell’invisibilita’ ti da comunque la possibilità di sentire dei racconti di vita meravigliosi e affascinanti, sentiti nella posizione del semplice uditore invisibile che si può fare un’opinione senza per forza dover dire la sua sulle cose. Essere invisibili e muti aiuta a crearsi un’opinione sui “cazzi” degli altri e sulle cose della vita. Tra le cose non private da poter raccontare in questo periodo di navi di traverso mi sono venuti in mente due racconti sentiti tanti anni fa. Due episodi simili per conseguenze, due naufragi in barca a vela.

Il primo raccontato al bar ad un amico davanti a un bicchiere di vino da uno skipper sulla sessantina che, insieme alla sua compagna, intraprendono una traversata oceanica, sogno di una vita tenuto nel cassetto fino al momento della pensione. In mezzo all’oceano, ammesso che l’oceano abbia un mezzo, la barca dei due viene rovesciata da una collisione con una balena.

Il secondo episodio avvenuto ad anni di distanza raccontato, questa volta, ad alta voce a una platea più ampia nello stesso bar da un’altro skipper più giovane che vede come protagonista della collisione invece un container semi affondato che porta alle stesse conseguenze. Il secondo episodio lo avevo quasi rimosso dalla memoria, troppo caciarone e sensazionalistico nell’esposizione del protagonista forse per rimanere vivo nella mia testa , ma in periodo di navi di traverso alte sessanta metri mi è tornato in mente. Un container disperso nel mare da uno di quei mastodonti galleggianti e una balena puzzolente. Così la descrive al bar il protagonista:

“prima della collisione ho sentito una puzza incredibile, le balene sono tremendamente puzzolenti”. Sulla vicenda Suez ci si interroga sulle responsabilità. Colpa di una tempesta di sabbia o piuttosto di un errore umano nella manovra? L’oste grasso e invisibile questa volta vorrebbe dire la sua. Si tratta senza dubbio di un errore umano e l’errore sta a monte nel poter pensare di far navigare delle navi di quelle dimensioni pensando solo al profitto tralasciando le conseguenze che questa scelta può portare.Il coronavirus è veramente causato da un pipistrello? O si tratta piuttosto di un errore umano? Non parlo di errori di laboratorio ma piuttosto della spinta alla globalizzazione che porta a scelte rischiose, molto rischiose.Teniamoci nel cuore i racconti fatti sottovoce di balene puzzolenti.

Pensiamo ai bar che chiusi non possono stare.

Foto di Gianni Umicini

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