Le Fraghe, il riscatto del Bardolino

Le Fraghe, con le fragole rinasce anche un vino

di Marta Pavan

Bardolino è una denominazione ben nota, si trova in provincia di Verona, a sud-est del Lago di Garda. Meta famosa per il turismo ha visto l’inizio del suo declino agli albori degli anni ’90. Capire il perché non è mai facile. Nel secolo scorso nella zona si viveva di turismo, e quindi l’attività del vignaiolo non è mai stata preponderante. Nella vicina Valpolicella invece si è visto il fenomeno opposto, i turisti non c’erano e quindi si è investito molto sulle attività vitivinicole. Col passare degli anni il Bardolino ha iniziato a cadere nel dimenticatoio, ed è a questo punto che Matilde Poggi ha deciso di prendere in mano le redini della situazione per ridare dignità alla sua terra.

La cantina Le Fraghe nasce nel 1984, dal 2009 è certificata biologica e ad oggi conta trenta ettari coltivati a corvina e rondinella per i rossi e garganega, dal 1992, per i bianchi. L’obiettivo della nostra vignaiola è quello di attenersi al territorio, cercando di portare in ogni bicchiere ciò che offrono le sue vigne. La sua filosofia è quella di un ritorno alla tradizione. Le varietà sono le stesse della famosa Valpolicella, ma la vera differenza la fanno i suoli qui molto minerali. La terra può quindi, in un certo senso, annullare il varietale.

Con queste premesse ci siamo immersi nella degustazione dei vini di Matilde, iniziando dai rosati. La zona del Bardolino infatti è la prima in Italia per la produzione di questa tipologia di vino, che qui prende il nome di Chiaretto.

“Chiaretto” 2019, da uve corvina e rondinella. Quest’annata è stata abbastanza fresca e quindi si ha un’acidità sostenuta. Al naso il vino si presenta con note floreali di rosa e fragoline di bosco. La tecnica di produzione è quella del salasso, ossia un contatto di sei ore con le bucce e poi il 30% del mosto è svinato e procede con la vinificazione in bianco. Il colore è brillante. Il tannino è morbido e ben si accompagna ad una buona mineralità. Prima dell’imbottigliamento viene aggiunta la bentonite per prevenire la precipitazione delle proteine che porterebbero alla torbidità in bottiglia.

“Chiaretto” 2018, rosato da uve corvina e rondinella, più evoluto e strutturato del precedente con un’ottima brillantezza e buona freschezza. La tecnica di produzione è sempre quella del salasso, per cercare di ottenere un’estrazione ottimale e un colore vivace. Vino delicato con sentori di rosa e ribes, il tannino è ben bilanciato da un’ottima mineralità.

Questi vini così come i bianchi hanno un potenziale ossidativo molto alto, quindi dal 2012 Matilde ha deciso di adottare una chiusura con tappo a vite, ermetico che non fa respirare, così vengono preservate brillantezza e freschezza.

La nostra degustazione è proseguita col tanto atteso Bardolino.

“Bardolino” 2019, rosso da corvina e rondinella, la sosta sulle bucce è di circa 7/8 giorni per un’estrazione ottimale. Il colore è scarico, tipico delle varietà. Vino delicato al naso con sentore di amarena e a sorpresa le note speziate che di solito emergono con l’evoluzione. I tannini sono leggeri, infatti corvina e rondinella hanno un basso contenuto tannico. Ottima l’acidità, figlia di un’annata fresca.

Matilde ci ha presentato altre tre annate di Bardolino, ma provenienti da un unico vigneto, il “Brol Grande”. Questa vigna si trova vicino al monte Moscal, offre diverse esposizioni e regala vini eleganti e raffinati. La vinificazione a parte è iniziata dal 2011.

“Brol Grande Bardolino” 2018, questo primo vino si presenta un po’ statico e denota che deve ancora evolvere. L’acidità è buona e il tannino morbido. Al naso prevale la parte fruttata e le note speziate sono ancora sotto tono. Questo rosso è stato affinato solo in cemento.

“Brol Grande Bardolino” 2013, rosso elegante ed armonico, forti e avvolgenti i sentori speziati di cannella e pepe nero che sono ben accompagnati dalle note di frutta di sottobosco. Il tannino si fa sentire, ma è comunque in equilibrio e non stona, ottima la mineralità. Questo vino ha fatto l’affinamento in botte di legno.

“Brol Grande Bardolino” 2016, concludiamo il nostro viaggio nella cantina Le Fraghe con un ultimo Bardolino. Ci troviamo di fronte ad un vino con una forte personalità che ci sorprende. Al naso si presenta molto fine con una nota balsamica che si va ad aggiungere a quella fruttata e speziata. Il 2016 è stata un’annata generosa, con giorni caldi e notti fredde in fase di maturazione, un ottimo connubio per ottenere dei vini eleganti e raffinati. La mineralità tipica di questi suoli è ottima e lavora bene con un tannino morbido. Un vino che si fa bere ad ogni sorso.   In dialetto veronese la parola “fraghe” significa “fragole”, e dopo quattro anni dalla conversione al biologico fra i filari di Matilde sono cresciute le fragoline selvatiche. Ci auguriamo che con la nascita di questo frutto possa rinascere anche il Bardolino, un vino gentile e delicato che può stare sulla tavola tutti i giorni. Perché il ruolo del vignaiolo infondo è questo: far bere il buon vino ogni giorno

Valfaccenda, espressione autentica del Roero

Soggettività e territorialità si incontrano in un unico bicchiere

di Marta Pavan

La cantina Valfaccenda nasce nel 2010 a Canale in provincia di Cuneo, nel cuore del Roero. Questa zona di produzione vitivinicola ha una storia millenaria, ma solo negli ultimi anni ha preso consapevolezza. Il confronto con le Langhe è sempre stato molto pesante e, in passato, c’era da parte dei produttori, l’idea di scimmiottare il più famoso Barolo con risultati poco convincenti. I vini spesso erano pesanti con forti sentori di legno, e lontani dal territorio di origine. Nell’ultimo periodo invece c’è una presa di coscienza maggiore del proprio territorio. Non si tratta di meglio o peggio ma un territorio con caratteristiche diverse e con tutta la sua personalità. I produttori, soprattutto le nuove generazioni, stanno iniziando a nobilitare i due vitigni tipici della zona, ossia nebbiolo ed arneis, senza copiare lo stile di produzione langhino. Dal 2016 è stata introdotta nella denominazione Roero la zonizzazione, e dall’anno successivo si è iniziato a produrre anche i vini riserva.

Con queste prospettive Carolina e Luca hanno dato vita a Valfaccenda, cercando di trasmettere, attraverso i loro vini, il territorio e i suoi vitigni. L’azienda si estende su quattro ettari con una produzione annua di ventiduemila bottiglie. La loro filosofia è di cercare la soggettività in ogni vino, soprattutto per quanto riguarda i bianchi. Infatti l’arneis è ormai snaturato ed omologato poiché per circa il 30/35% va sul mercato a Natale della stessa vendemmia. Le colline di questa zona sono piccole, ripide e regalano diverse esposizioni alle vigne, inoltre sono caratterizzate dalle cosiddette “sabbie astiane” che offrono dei vini sapidi, acidi e croccanti. Una volta terminato un piccolo tour della cantina siamo passati alla degustazione dei vini, partendo dai rossi.

“Vindabeive” 2019, da uve 100% nebbiolo. Il nome significa in italiano “vino da bere”, ossia che può stare sulla tavola di casa ogni giorno. È stato prodotto per la prima volta nel 2014, dai vitigni più giovani e poveri che confinano con un bosco. La bottiglia è da un litro e la chiusura è col tappo a corona, per richiamare la tradizione contadina. La vendemmia di queste vigne inizia subito dopo quella dell’arneis, quindi due settimane prima rispetto agli altri rossi. Il tannino rimane verde, si fa una macerazione semi-carbonica di tre/quattro giorni sulle bucce con uva intera. La fermentazione è spontanea e avviene o in cemento o in acciaio. Questo vino, pronto da bere, è imbottigliato il trenta novembre dell’anno della vendemmia. Ci troviamo davanti ad un bicchiere leggero, spensierato che si fa bere ad ogni sorso.

“Valfaccenda” 2018, anche questo rosso è prodotto da nebbiolo in purezza e porta la denominazione DOCG Roero. La fermentazione è sempre spontanea ed in questo caso, la macerazione sulle bucce è di quindici/venti giorni. L’affinamento avviene per un anno in legno di rovere, in botte grande, e poi finisce con un altro anno in bottiglia. Al naso spicca l’amarena, accompagnata dalla viola e da una nota di pelle. Il tannino è soffice e morbido. Un rosso delicato e molto fine.

“Valmaggiore” 2017, rosso riserva Roero DOCG. Da nebbiolo in purezza, ma le uve provengono da una singola vigna, piantata nel 1947 a Valmaggiore. La vinificazione segue le stesse fasi del vino precedente, la differenza è il tempo di affinamento che per la riserva è di un anno in legno di rovere e due anni in bottiglia. Al naso arriva la frutta rossa con un sentore speziato di cannella e pepe nero. Il tannino è ben bilanciato, un rosso elegante e con ottima beva.  

Tutti i vini sono naturali, in vigna si pratica la viticoltura biologica e viste le pendenze delle colline la maggior parte delle lavorazioni vengono fatte a mano. Per concludere il nostro viaggio all’interno di Valfaccenda abbiamo degustato i bianchi.

“Valfaccenda” 2019, da uve 100% arneis. Al naso sentori di frutta fresca, quali mela verde e limone, spalleggiati da una nota burrosa dovuta alla fermentazione malolattica. Per questo vino le uve sono raccolte in tre momenti diversi e di queste il 30% fanno una macerazione sulle bucce di circa dieci giorni, per evitare un’estrazione troppo spinta. Freschezza e sapidità sono buone, con un buon supporto tannico.

“Loreto” 2018, bianco riserva da arneis in purezza. Molto elegante con note di fiori di sambuco, frutta bianca e gelsomino. Il nome Loreto deriva dalla sottozona, ed è frutto della vendemmia di una sola vigna. In questo caso non è stata fatta la macerazione sulle bucce e per l’affinamento in legno è stata usata l’acacia, più porosa e rilascia meno tannino rispetto al rovere. Anche questo vino ha fatto la malolattica, che conferisce più corpo. Per l’invecchiamento la riserva fa un anno in legno e uno in bottiglia. Ci troviamo di fronte ad un arneis con personalità, fresco, sapido e molto armonico.

Valfaccenda certamente è una realtà giovane, ma si sta già distinguendo per la personalità forte dei suoi vini. Per i bianchi non è volutamente messo in etichetta il nome della varietà, perché l’obiettivo è quello di trasmettere il Roero, non il vitigno.

Luca ci saluta con questa frase:

“Per noi il vino esiste come naturale conseguenza del territorio che lo accoglie, come risultato di un lavoro meditato in vigna e in cantina.”

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