“Il vermentino è un bravo solista, il pigato è un’orchestra e lo spigau è l’orchestra sinfonica” Fausto De Andreis
di Marta Pavan
In una regione come la Liguria ci vuole coraggio per andare controcorrente, per distinguersi dalla massa e per creare una propria identità. Non siamo infatti in una regione famosa per l’enoturismo come la Toscana o il Piemonte, e quindi andare contro il sistema comporta dei rischi sul mercato. Ad Albenga, nella Riviera ligure di Ponente, abbiamo incontrato Fausto De Andreis, il famoso “anarchico del pigato”. Nella sua cantina Le Rocche del Gatto ci specifica subito che non berremo il vino commerciale, da lui definito banale, ma un vino prodotto secondo i criteri e soprattutto l’etica di un tempo con l’aiuto non invasivo delle tecnologie dei giorni nostri. L’obiettivo è quello di rispettare la tradizione senza voltare le spalle alla tecnologia, che se usata con raziocinio non preclude la qualità del prodotto finale. Fausto ci spiega che i vini bianchi attuali sono prodotti con l’ottica di entrare subito nel mercato per accaparrarsi il maggior numero di clienti, perdendo così le caratterizzazioni tipiche della varietà e del terroir. Lui si discosta da tutto ciò e produce dei bianchi volti ad una potenziale evoluzione anche decennale.
Le fermentazioni sono condotte sulle bucce come un tempo, all’epoca però il vino si surriscaldava e quindi c’era molta ossidazione. Adesso invece col controllo della temperatura si riesce a raffreddare il pigiato e a condurre una fermentazione senza rischi ossidativi, inoltre il nostro vignaiolo utilizza anche l’azoto per lavorare in riduzione. La temperatura nelle vasche è portata intorno ai 17°C e la fermentazione dura all’incirca due settimane. Questo tipo di vinificazione è usato sia per i bianchi che per i rossi così da ottenere la maggior estrazione possibile di aromi primari e avere vini fruttati. In tutti i vini una volta terminata la fermentazione alcolica si ha anche la malolattica, per conferire più struttura, corpo e longevità. Inoltre al momento dell’imbottigliamento si usano i solfiti, con una quantità di circa 40 mg/l. Tutte le lavorazioni sono fatte in vasche di acciaio e la produzione annua di bottiglie si aggira intorno alle cinquantamila. Abbiamo iniziato la nostra degustazione dalle vasche di pigato.
“Vasca pigato” 2018, forte la nota agrumata di pompelmo rosa che ben si accosta a quella burrosa e ad un leggero sentore di vegetale. Il tannino è morbido. Buona l’acidità e la sapidità.
“Vasca pigato” 2019, al naso una leggera nota ridotta, profumi di mela verde e sottile la crosta di pane; più vegetale del precedente. Vino giovane, con un tannino più invadente.
“Senza tempo” spigau 2011, da uve 100% pigato, 40% della vendemmia 2012 e 60% della 2011. Questo vino è stato chiarificato con l’obiettivo di rimuovere tutte le sostanze ossidabili, così da poter evolvere, da questo deriva il nome senza tempo. Al naso una leggera nota riduttiva, sentore di agrumi, miele e nocciola. Buona la mineralità e marcata la sapidità. L’acidità e i tannini delle bucce garantiscono la longevità per un’uva che normalmente non si è abituati ad invecchiare.
“Senza tempo” spigau 2012, da pigato in purezza, 60% della vendemmia del 2012 e 40% della 2011. Anche questo vino è stato chiarificato al fine di evitare l’ossidazione. Il colore è ambrato. Sentori di pino mugo, resina e frutta gialla. Anche in questo caso i tannini sono ben bilanciati e con l’acidità vanno a conferire la longevità; ottima la sapidità tipica di questi territori.
Terminate queste vasche abbiamo realmente compreso le parole di Fausto, ogni vino ha le sue peculiarità e la sua storia da raccontare. È trasmessa con trasparenza l’ideologia del produttore, che arrivato alla sua sessantottesima vendemmia non smette mai di stupire. Dopo i primi assaggi ci siamo immersi nelle degustazioni di vermentino, pigato e dei rossi. Abbiamo iniziato da una verticale di vermentino partendo dal più giovane 2019 fino al 2010. Per le annate più recenti il colore è giallo paglierino con riflessi verdastri, al naso sono significative le note fruttate e floreali, in particolare di pesca bianca, pera, limone e gelsomino, in bocca buona l’acidità e ottima la sapidità; il tannino è ancora un po’ verde e conferisce una leggera nota erbacea. Dall’annata 2016 il colore inizia ad imbrunirsi, infatti troviamo dei vini ambrati, al naso emergono le note resinone e di miele di castagno con una leggera nocciola tostata. Il tannino è meglio bilanciato e si accompagna ad un’eccellente sapidità ben spalleggiata da una buona acidità. Negli ultimi due vini, il 2011 e il 2010, emergono una forte nota burrosa, la frutta gialla ed il caramello.
La nostra degustazione, è poi proseguita con il pigato partendo anche in questo caso dal più giovane 2019. Nel triennio ’19, ’18, ’17 ci siamo trovati di fronte a dei vini con sentori di erbe mediterranee, agrumi e fiori gialli. Ottima la sapidità che ricorda il mare ad ogni sorso e buona l’acidità. Abbiamo poi concluso con un 2011 dalle note di mandarino, sambuco e miele, con una leggera ossidazione non invadente, un’eccelsa sapidità ben bilanciata da un altrettanto ottima acidità; vino fuori dagli schemi, che ci lascia sorpresi nella sua eleganza ed armonia. Per terminare in bellezza coi bianchi siamo passati ai prestigiosi “spigau” delle annate 2009, 2008, 2006, 2004, 2003 e 1999. Questo tipo di vino è definito dal nostro Fausto un “pigato speciale”. Dal primo bicchiere ci accorgiamo che è così, al naso preponderanti le note di albicocca, zabaglione, fichi secchi e caramello con sentore di idrocarburo. L’acidità non è eccelsa in tutte le annate, però si combina bene o con una buona mineralità o con l’ottima sapidità. Particolarmente ha stupito l’annata ’99, un vino fuori dagli schemi che mai ci saremo immaginati di trovare in una cantina; vista la veneranda età si percepisce una nota ossidativa che però non stona, ma anzi sembra dare ancora più forza a questo speciale pigato.
Per concludere in bellezza il nostro viaggio alla scoperta delle Rocche del Gatto ci sono stati serviti i rossi.
“Rossese” 2018, da uve 100% rossese, al naso si presenta con sentori fruttati di frutta rossa, in particolare fragolina di bosco e peperone etrusco. Vino leggero, sottile con un tannino delicato, ben supportato da una buona acidità, molto sapido sul finale.
“Rossese” 2017, da rossese in purezza, vino più fruttato del precedente, con prevalenza della ciliegia matura, spalleggiata da una nota speziata. Il tannino è morbido, vino più strutturato dell’annata precedente con un finale sempre sapido.
“Granaccia” 2018, da uve 100% granaccia, si presenta con sentori fruttati di frutti rossi e di rosa, accompagnati da una leggera nota di pelle. Colore scarico, buona sapidità ed acidità.
“Granaccia” 2017, da granaccia in purezza si ottiene un vino più intenso e strutturato del precedente. Al naso emergono la frutta rossa matura, con prevalenza della ciliegia e le spezie.
“Macajolo” 2006, da uve macajolo in purezza (il cosiddetto dolcetto piemontese). La vinificazione è stata condotta a freddo per avere una maggior estrazione degli aromi fruttati, che infatti prevalgono con la ciliegia matura. Il tannino è bilanciato ed è ben spalleggiato dall’acidità.
“Macajolo” 2004, 100% magajolo, anche in questo caso sono presenti le note di frutta rossa, ma emergono anche la pelle ed un pizzico di cacao. Vino ancora vivo che si lascia bere.
Finiti tutti i vini abbiamo realizzato perché Fausto è ritenuto un anarchico, con i suoi vini fa semplicemente ciò che vuole con una passione ed un amore disarmante. Come ci ha detto se il vermentino è il solista, il pigato l’orchestra e lo spigau l’orchestra sinfonica lui è sicuramente il direttore di questa bellissima sinfonia. Le Rocche del Gatto ci insegnano che non serve copiare gli altri per arrivare primi, ma basta solamente trovare il proprio modo di esprimersi. Un vino di qualità non porta etichette, sa parlare da sé.


