La Ricolla, vino al centro del cosmo

L’uomo consapevole della sua terra muove le mani e rifiuta gli aiuti chimici

di Marta Pavan

La Liguria è una falce di luna posata sul mare, incastonata fra il Mar Mediterraneo e le Alpi. Ci troviamo nella provincia di Genova, nella zona di Levante, terra caratterizzata da colline scoscese, ulivi e boschi. Da queste parti non è facile essere viticoltori, infatti, vista la conformazione del territorio, non è possibile un invasivo utilizzo delle tecnologie e si pratica un’agricoltura eroica, dura, e dal sapore contadino di un tempo. In questi scenari quasi fiabeschi, in cui, da un lato soffia la brezza marina e dall’altro il vento dalle montagne, abbiamo incontrato Daniele Parma, titolare da ben trentacinque anni della cantina La Ricolla. Fra le vigne a Sestri Levante ci ha accompagnato alla scoperta della sua azienda che produce all’anno circa trentamila bottiglie. Agli inizi seguiva il sistema di agricoltura convenzionale, poi nel 2010 un primo cambio di rotta verso il biologico per concludere nel 2017/2018 con la definitiva conversione al biodinamico. Con questo sistema vengono coltivati sei ettari a vigna e sei a ulivi. I vigneti a bacca rossa sono granaccia, ciliegiolo e sangiovese. Tra i vini bianchi troviamo vermentino e bianchetta genovese. I trattamenti sono poco invasivi e a scopo preventivo delle malattie, si utilizzano rame, zolfo, alghe e propoli. Fondamentali il preparato 500, corno letame e il 501, corno silicio. Nel primo caso si utilizza due volte l’anno, in primis in autunno durante il periodo di semina delle erbe fra i filari; le leguminose fissano l’azoto e diventano un pascolo per gli insetti mentre le altre erbe aiutano il riassorbimento di rame e zolfo; in secondo luogo in primavera sulla trinciatura delle semine precedentemente piantate. Il corno silicio invece si usa una volta l’anno o nella fase di germogliamento, come messaggio di luce e per risvegliare l’humus, o in fase di maturazione in estati abbastanza verdi dovute al cosiddetto clima “maccaia” con nuvolosità velata, tipico di questa regione, per aiutare appunto il processo di maturazione dei grappoli.Il lavoro di Daniele si basa sul rispetto della natura con l’obiettivo di avere piante e grappoli vitali. Infatti se nell’agricoltura convenzionale si rincorre un problema cercando di risolverlo, in quella biodinamica lo si previene mettendo le piante nelle migliori condizioni per difendersi come farebbero in natura. Per fare ciò nelle vigne sono disposte tre differenti centraline meteo che aiutano il vignaiolo a prevedere gli andamenti climatici. L’intervento dell’uomo è quindi delicato, gentile e non invasivo.

La filosofia del rispetto della terra è stata portata anche nei vini. Così Daniele ci ha accompagnato in cantina. Qui è stato curioso vedere la presenza di diverse anfore, che non sono legate alla tradizione, bensì all’origine. Un’origine lontana dal vino dei giorni nostri, che ci riporta a come veniva fatto e trasportato dagli antichi, appunto con le anfore. Il concetto base è quello dell’utilizzo della terracotta, ambiente naturale e soprattutto “vivo” che lascia respirare. Il vino in questo specifico microclima è costantemente micro ossigenato. Questo strumento è usato per l’affinamento di bianchi e rossi e da quest’anno per la vinificazione del rosso a base di granaccia. Finito la breve visita ci siamo cimentati nella degustazione dei vini di Daniele accompagnati da una sua frase:

“Le bucce sono i miei lieviti, il tempo il mio chiarificante, le fecce i miei solfiti, la terracotta il mio legno e la vigna la mia cantina”.

“Berette” 2019, bianco fermo da uve 100% vermentino, re dei bianchi di questa regione. Il vino fermenta spontaneamente in acciaio con le proprie bucce senza il controllo della temperatura. Al naso appaiono delicate le note di resina e miele di castagno accompagnate dalla frutta gialla; il tannino dato dalle bucce è morbido e ben si bilancia con la buona sapidità e l’acidità. I solfiti sono aggiunti sono nel momento dell’imbottigliamento con una quantità di 20 mg/l.

“Óua” 2019, questo termine deriva dal dialetto genovese e significa “ci siamo”. Anche in questo caso abbiamo un bianco fermo da vermentino in purezza. La grande differenza rispetto al precedente è che questo vino è stato messo di fronte all’ossigeno senza alcuna protezione, con l’affinamento in anfora di otto mesi. C’è una leggera nota ossidativa di frutta gialla matura, un po’ di vegetale e le note delicate del miele di castagno. Vino elegante ed armonico, il tannino non è invasivo, buone acidità e sapidità tipica dal territorio.

Ci troviamo di fronte a dei vini legati alla tradizione, che ben si abbinano alla gastronomia locale; infatti sono ottimi col tipico coniglio alla ligure o con qualche fritto.I vini della Ricolla hanno sicuramente la loro anima e profumano di libertà. Libertà di sperimentare e di potersi esprimere senza omologazione e tecnicismi. In questa azienda si ha la sensazione di fare un passo indietro nel tempo, quando la terra era l’anello di congiunzione tra cosmo e vino. Perché alla fine ognuno è biodinamico a modo suo, esistono infatti delle linee guida generali, ma poi è solo l’uomo che conosce i momenti topici della propria vigna ed ha il dovere di rispettarli in silenzio. 

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