Nell’estate calda del 2003 andai a Roma per una degustazione alla sede di Porthos. Ci andai con Luca Elettri, allora grafico e fotografo di gran livello e oggi vignaiolo, e con le nostre famiglie. Inutile negare l’emozione e la tensione del momento che precedeva la degustazione. Sangiorgi ci aveva ospitati in un albergo a Monteverde, quartiere residenziale su una delle colline di Roma alle spalle del Gianicolo. Roma era tutta attorno a noi, e la cosa ci eccitava moltissimo, l’atmosfera era quella dei numerosi film dove la città è protagonista. Magica non a caso, il luogo dove tutto può accadere, e quel giorno accadde qualcosa di straordinario.
La mattina uscii presto per raggiungere la sede di Porthos, ero piuttosto nervoso, Sandro era per me una figura fondamentale soprattutto in quella parte della mia vita. La sua presenza e il suo fervore intellettuale era per me di gran stimolo, mi aiutava a vedere le cose da una prospettiva diversa alimentando la mia critica non convenzionale, anche se in qualche modo lo subivo. Forse perché non volevo deluderlo, era, ed è, il mio maestro e non avrei voluto sfigurare.
A pochi metri dalla porta d’uscita dell’albergo pestai accidentalmente un….ricordo, che un adorato cagnolino e un meno adorato padroncino aveva deciso di lasciare sul marciapiede. A quel punto fui coinvolto da un turbinio di sensazioni miste ad un po’ di panico che si esternavano nelle imprecazioni degne di un veneto di origine controllata e garantita.
“no! Maledizione, non oggi proprio oggi che ho la degustazione, no!”
Indossavo degli scarponcini Timberland quelli con la suola carrarmato dove tutto si infilava e in quel caso era proprio un problema. Già mi immaginavo l’imbarazzo nella stanza della degustazione con tutti quei nasi da tartufo pronti a captare ogni molecola presente nell’aria. Mi guardai attorno, dovevo risolvere la cosa in tempo breve. Poco più lontano vidi una fontanella di quelle di Roma dove in estati come quelle si può bere l’acqua fresca e buonissima. Ecco a soluzione, pensai tra me. Arrivato misi lo scarponcino sotto l’acqua corrente cercando di togliere il tutto, nel frattempo, mi tenevo in equilibrio sulla fontanella.
Nel silenzio della domenica mattina, sentivo nell’aria un ticchettio un po’ nervoso che si diffondeva attorno a me. Era un rumore amplificato dal piccolo viottolo da cui proveniva. Con il piede sotto la fontanella, in equilibrio precario, mi giro per vedere da dove arrivasse. Dal viottolo sbucò, con camminata spedita, Roberto Benigni con un vestito marrone chiaro, cappello probabilmente un Borsalino e il quotidiano sotto il braccio. Non mi sembrava vero. Benigni per me in quel periodo rappresentava il mito assoluto, gli amici lo sapevano tutti, io che li intrattenevo alle cene con scene dei film o sketch presi dai suoi spettacoli o le cantate dell’”inno del corpo sciolto” che finivano le serate da sempre. “Che faccio ora”, pensai. Gli salto addosso, gli stringo la mano dicendo che era il mio mito? No, avrei rovinato tutto. In pochi istanti feci la scelta perfetta. Così con tono pacato come se lo conoscessi da sempre, come se fosse la cosa più normale incontrarlo la domenica mattina gli dico:
“Ciao Roberto come va?”
“Eh bene bene mi disse tu come stai” con il suo accento toscano
“Eh ho appena pestato una merda vedi tu”
Ridemmo.
In quel momento dall’alto mia moglie e gli amici dissero: “guarda Benigni”. Lui se ne andò con lo stesso ticchettio di come era arrivato con il quotidiano sotto il braccio, si girò verso di me piegando la gamba in dietro in un suo gesto tipico si tolse il cappello e mi disse:
“ci si vede”
Sparì tra i vicoli di Roma. Non erano i tempi degli smartphone, non esistevano ancora i selfie, ma non avrei desiderato nulla di più di quel che ho vissuto. Una scena di un film di Roberto Benigni tutta per me. E’ proprio vero che pestare una merda porta fortuna, la mia vita da quel giorno cambiò,
Diciamo che rivedendo tutto è stata la sublimazione dell’inno del corpo sciolto
E si la vita è bella!
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