Biondo Jeo, la corte sconta dell’asolano

L’area dell’Asolo Prosecco l’ho scoperta in ritardo rispetto a Valdobbiadene. Forse perché per molti anni è stata più una zona di coltivazione dell’uva e solo in epoca relativamente recente, dagli inizi degli anni duemila, è anche zona di produzione di vino. E’ un luogo che dista pochi chilometri da casa mia e che frequento da tempo, non fosse altro per la bellezza della natura che qui sa esprimersi in modo magistrale. Un luogo ricco di storia e biodiversità dove le colline si alternano a ritmo regolare e dove i boschi di castagni si fondono con gli ulivi e le vigne. Mi ha sempre incuriosito assaggiare i vini dell’asolano, al mio diciottesimo compleanno ho chiesto in regalo una selezione dei vini di Villa Maser. A volte capitava che, con mio padre, negli anni ottanta, andassi da qualche contadino a comprare il vino sfuso da imbottigliare, ma era un mondo che faticava ad esprimersi e a mettersi in mostra e, al quel tempo, lontano da me.

Di tutte le sottozone della denominazione dell’Asolo Prosecco, Monfumo è quella che mi intriga maggiormente e che, per certi versi, trovo in un equilibrio ideale in termini di rapporto suolo, clima e luogo.

Agli inizi degli anni duemila conobbi indirettamente i vini di quello che chiamavano il “Biondo”, facile intuire perché. Un produttore dal fare anarchico e disallineato che destava in me un certo interesse. I vini non sempre allora mi convincevano, o meglio, li trovavo un po’ altalenanti a volte molto interessanti altre diciamo rinunciabili. Ma è proprio quell’alternanza di risultato che alimentava in me la curiosità, facendomi intendere che dietro, si sarebbe potuto nascondere un vignaiolo coraggioso, capace di osare. L’idea che mi ero fatto era che dietro quelle bottiglie ci fosse qualcuno che non si accontentava mai e che voleva esplorare le potenzialità del suo luogo e del vitigno

Non mi sbagliavo.

Con il tempo conobbi Cristian De Lucchi il figlio del Biondo. Cristian era colui che, dietro le quinte, operava nella produzione del vino e nella gestione della vigna. 

La loro cantina sembra quasi sfuggire a tutto. Non ci sono insegne che possano portare a scovarla se non una bella piastra in corten fuori dalla porta della cantina incastonata nella collina ma a quel punto sei arrivato a destinzione. Ovviamente con i navigatori satellitari di oggi tutto è più semplice io ci sono arrivato chiedendo alla gente del luogo dove si trovasse Biondo Jeo. 

Capita così che, in una serata di fine estate quando il sole volge al tramonto, le ombre si allungano e le zanzare entrano in azione, io e Cristian ci troviamo sotto alla pergola a degustare qualche bottiglia di quelle prodotte da lui.

Le sorprese non mancano, a partire dalla Rossona di Monfumo, così mi viene presentata, una varietà autoctona non ancora codificata che sembra possa rappresentare una delle madri della glera secondo l’analisi del DNA. Per ora un’uva da pergola e un vino non commercializzato ma di sicuro qualcosa estremamente interessante. Vino ancora nella sua fase embrionale ma da non sottovalutare come interesse e piacevolezza di beva, dal colore rosso rubino acceso, luminoso e rifermentato in bottiglia.

Un colore molto acceso e un profumo delicato, fine di frutti rossi,di fragolina di bosco, arancia sanguinella e timo di montagna. Al palato entra con il fare gentile della bolla cremificata ed è subito scattante e succoso. Emerge una sensazione dolce e acida nel contempo che può ricordare la rosa canina o il carcadè, quel fiore di Hibiscus da cui si ricava una bevanda dissetante usata nelle zone desertiche del nord Africa. Servito a temperatura fresca risulta un buon corroborante a fine giornata e dissetante.

Ma Cristian decide puoi di calare l’asso, orgoglioso come è, non resiste alla tentazione di aprire la sua prima bottiglia di metodo classico a base bianchetta trevigiana in purezza del millesimo 2006 sboccato alla volée prima del servizio per cui con 17 anni di sosta sui lieviti. Il 2006 è stata una bella annata con uva arrivata in cantina in ottimo stato di conservazione. Vinificato in bianco quindi con pressatura diretta senza sosta sulle bucce. Il vino è stato aperto alle 18.30

Colore ambrato effervescenza presente e continua che forma una corolla sulla superficie del vino.Il naso parte da una prima fase lievemente riduttiva ma bastano pochi istanti perché inizi una sinfonia di aromi che difficilmente dimenticherò. Naso variegato di  miele di castagno emerge una sensazione di idrocarburo e agrume disidratato danto da ricordare un riesling della mosella. Successivamente arrivano note di camomilla zenzero disidratato, la speziatura del pepe bianco, bergamotto, il balsamico dell’eucalipto e il cardamomo. Complessa questa parte aromatica sembra non volersi mai arrendere e ci dona ancora il  porcino crudo arancia amara cioccolata bianca nocciola tostata. Sono le 18.58 le nostre chiacchiere si intensificano e con questo vino che fa cadere i primi filtri inibitori, i nostri pensieri si fondono. Escono note tostate di orzo tisana di timo.

Al palato la bollicina è cremosa il vino, a dispetto del tempo è ancora vivo e non mostra segni di ossidazione nemmeno uno. Complice la presenza dei lieviti in bottiglia e una bella acidità riesce a sfidare gli anni che passano con disinvoltura.

L’acidità rimane presente e  persistente vino sapore ben integrato armonico, con un finale lievemente amarotico di radice di genziana e una componente sapida importante figlio della marna. E’ un vino rotondo appagante e godurioso.

La bottiglia finisce il sole oramai è oltre le colline e il cielo si tinge di rosa. Io e Cristian pensiamo che al di la dei vari slogan che si possano pensare la risposta della vocazione di un luogo avviene dal bicchiere e dal tempo, ingrediente che pochi considerano nel produrre vino ma che fa la grande differenza.

Esperienza che non dimenticherò, inserirò questo Metodo Classico Bianchetta di Monfumo 2006 tra i vini più entusiasmanti che abbia mai bevuto di cui ha goduto indirettamente anche qualche zanzara asolana.

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